Intervista a Carla Ravaioli, 1978
Tutti i dirigenti comunisti che ho intervistato finora sul problema femminile, hanno fatto, chi più chi meno, una loro autocritica…
A mio parere, per quanto riguarda il modo di considerare la questione femminile, e anche il modo di atteggiarsi e di comportarsi nei confronti delle donne, nella vita sociale, nella vita pubblica, nella vita privata, l’autocritica non è mai sufficiente. Le cose da fare sarebbero tante, e così inadeguato è effettivamente ciò che è stato fatto finora che tutti hanno il dovere di autocriticarsi: i governi, le istituzioni, i partiti, le organizzazioni democratiche e popolari, tutti i maschi presi ciascuno singolarmente, e anche chi, come il nostro partito, ha dato alla soluzione del problema un contributo che, parziale e insufficiente finché si vuole, è certamente superiore a quello dato finora da ogni altra forza politica. Ma non abbiamo fatto abbastanza poer rinnovare la mentalità dei nostri compagni, dei nostri lettori e simpatizzanti, delle masse popolari che gravitano nella nostra sfera ideale e politica, perché vengano superati certi pregiudizi, certe concezioni arretrate, certi comportamenti di tipo conservatore e discriminatorio, veramente offensivi della dignità della donna, che sono radicatissimi nel costume, e che resistono anche – e sottolineo l’anche – tra le file del movimento operaio e del nostro partito.
Tutto questo che mi dice, circa l’esigenza di modificare certa mentalità anti-donna dei suoi stessi compagni, conferma ciò che più volte, nei suoi scritti e nei suoi discorsi, lei ha sottolineato: l’importanza del costume, della cultura.
Questo è a mio avviso un aspetto della lotta femminile non solo importante, ma decisivo. Certa mentalità retriva e discriminatoria nei confronti della donna, certe posizioni pregiudizialmente antifemminili e antifemministe, costituiscono un ostacolo concreto e pesante all’emancipazione femminile, e, sì, fanno dell’uomo l’oppressore della donna. E non mi riferisco solo al borghese, al capitalista, ma anche all’operaio, anche al proletario, anche al comunista. È il retaggio di una storia antichissima che oggi, con la crescente consapevolezza femminile dei propri diritti, determina una certa lotta tra i sessi e l’esigenza per la donna di una liberazione anche nei confronti dell’uomo…«Non può essere libero un popolo che ne opprime un altro» scriveva Marx; un’affermazione che potrebbe essere parafrasata a questo modo: non può essere libero un uomo che opprime una donna.
Da tempo il PCI va proponendo un nuovo modello di sviluppo, fondato prevalentemente sui consumi sociali anziché sui consumi privati. Quale spazio, quale funzione, quale immagine, lei prevede che la donna possa assumere in questo ambito?
A me pare che il nostro partito abbia già fatto un notevole sforzo di elaborazione di questo tema, indicando la necessità di un rapporto del tutto diverso tra consumi collettivi e consumi individuali, con uno spostamento netto in favore dei primi da parte di tutta la società, e sottolineando il valore essenziale di questa proposta per il miglioramento della condizione femminile. Mi sembra chiaro che cosa possa significare, per la società e per la donna, in termini di alleggerimento del lavoro domestico e familiare, lo sviluppo di asili, scuole materne, lavanderie collettive, il miglioramento dell’assistenza sanitaria, e così via.
Ma vorrei precisare un’altra cosa, a mio parere molto importante: l’obiettivo deve essere quello di ridurre il più possibile il lavoro domestico della donna sostituendolo con attrezzature che siano frutto di lavoro industriale. Siccome però noi non siamo, o almeno io personalmente non sono, per l’eliminazione della vita familiare, un tanto di lavoro relativo alla sua organizzazione resterà. Ma qui sta il punto: perché mai questo compito deve pesare tutto e unicamente sulle spalle della donna? Perché non deve essere distribuito tra uomini e donne?
Lei, affermando l’importanza dei movimenti femminili, più volte ha accennato a una loro collocazione nel contesto della più vasta e complessa problematica sociale. Che cosa intendeva?
In realtà non solo io sono convinto che l’esplosione dei movimenti femminili rappresenti uno dei grandi fenomeni sociali d’oggi, ma mi pare che esprima una tendenza che caratterizza tutta l’epoca attuale. Vasti gruppi sociali e interi popoli che per secoli o addirittura per millenni sono stati assenti dalla storia, i paesi del Terzo mondo, le zone tradizionalmente oppresse e sfruttate, tutti i cosiddetti “emarginati”, tutti coloro che – per ragioni diverse, connesse ai diversi ordinamenti dei paesi capitalistici e anche dei paesi socialisti – sono stati esclusi dalle decisioni riguardanti i loro stessi destini, tuti costoro oggi scendono nell’arena sociale, si muovono e lottano, premono per la soluzione dei loro problemi. L’emergere così clamoroso della questione femminile oggi si iscrive a mio parere in questo vasto fermento che scuote il mondo intero, in questa massa di questioni che vengono alla ribalta politica, che sono molto diverse tra loro, ma testimoniano di una medesima crescita dell’umanità. Perché fino a ieri i protagonisti della storia sono stati solo alcuni paesi, alcuni popoli, alcuni gruppi: oggi tutti affermano il loro diritto di partecipare alla storia. La storia sta finalmente diventando di tutti.