Discorso alla Camera, agosto 1983
La questione più grave è oggi quella della mafia e della camorra. Nel potere mafioso sembra essersi costituita una vera e propria struttura centrale di comando, che è criminale, finanziaria, ma anche politica.
Per debellarla, occorre che il Governo decida presto di concentrare uno sforzo straordinario e duraturo di uomini e di mezzi nelle zone più colpite. Nei riferimenti contenuti nel programma su questo tema non c’è stato il minimo accenno al problema centrale che pone la crescita del potere mafioso, della sua ferocia, della sua impunità: il problema cioè delle sue radici e dei suoi legami con istituzioni, partiti e settori della pubblica amministrazione.
Le misure tecniche e organizzative, pure indispensabili, per rendere più efficace l’opera della magistratura, dei carabinieri, della polizia, della guardia di finanza, non raggiungeranno risultati sostanziali se i partiti e il governo stesso non si impegneranno a fondo a recidere quei legami, a estirpare quelle radici.
Contro la mafia e contro la camorra, come contro il terrorismo, occorre suscitare una grande e nazionale mobilitazione di massa, rinsaldare il rapporto tra popolo e istituzioni, per dare fiducia e sostegno agli uomini che proprio in questo momento si stanno battendo con tenacia e coraggio nonostante la grave carenza di mezzi, e perché soprattutto non sia reso vano il sacrificio di coloro che hanno perso la vita in questa lotta: da Mattarella a Dalla Chiesa, a Rocco Chinnici, al nostro compagno Pio La Torre, a tanti e tanti altri. […]
Oscura e preoccupante è l’affermazione che propone una visione unitaria dell’ufficio del pubblico ministero. Che cosa significa? Sorge il sospetto che si pensi a una struttura piramidale, che faccia capo al procuratore generale presso la Corte di cassazione, come accade ad esempio in Bulgaria. Andare su questa strada significherebbe puntare al controllo politico del pubblico ministero.