da un Discorso in Parlamento, febbraio 1976
Io non voglio tornare a insistere sulle cause politiche della crisi morale. Mi preme dire che tale crisi ci riconduce certo al problema politico di fondo; che la verità è che i malanni e i guasti più rilevanti – quelli del sottogoverno, del clientelismo, delle spartizioni del potere, delle confusioni tra pubblico e privato, delle commistioni tra potere politico e potere economico, dell’inceppamento dei meccanismi del controllo democratico, dell’abitudine all’impunità – sono stati il portato di una organizzazione del potere fondata per lungo tempo sulla discriminazione anticomunista, sul monopolio e il predominio della Democrazia cristiana, sulla dichiarata impossibilità di una qualche alternativa a quel tipo di regime, sia nel periodo centrista sia in quello del centrosinistra.
Che da questo tipo di direzione politica e dal tipo di sviluppo economico siano derivati i processi degenerativi che hanno finito col coinvolgere la stessa Democrazia cristiana, non mi par dubbio.
Tuttavia, non si tratta di pronunciare sommarie condanne moralistiche. E certo però che siamo di fronte a un decadimento, a una perdita di autorità politica e morale dei gruppi dirigenti; e siamo di fronte al rischio che in qualche misura sia offuscato quel cardine della democrazia costituito dal sistema dei partiti, e quella conquista della Resistenza che fu la costruzione dei grandi partiti democratici di massa.
Per questo, l’esigenza della moralizzazione della nostra vita pubblica e di un recupero di valori, appare oggi così forte e ripropone quella svolta politica, quel ricambio e rinnovamento della classe dirigente per cui è essenziale il Partito comunista.