di Giorgio Battistini, La Repubblica, 13 maggio 1984, pagina 2, sezione: IL 43° CONGRESSO DEL PSI
VERONA – Se n’è rimasto seduto tutta la mattina, in silenzio, solo, nella tribunetta degli ospiti. Una presenza fisica ostinata, in contrasto con il panorama semideserto del secondo giorno di questo congresso-sprint. Poi, nel primo pomeriggio, Enrico Berlinguer ha risposto ai fischi, alle invettive di venerdì sera partite da una platea socialista mai così ostile e compatta nei suoi umori anticomunisti.
Ha scelto una piazza a pochi chilometri da Verona, Nogara; una piccola folla di un migliaio di militanti; un linguaggio e un tono volutamente frenati per circoscrivere una pagina amarissima, già agli atti della tormentata storia dei conflitti a sinistra. “Non la considero un’ offesa personale, nè un episodio che può spingere il Pci a simili atti di rivalsa”, ha detto a Nogara rivolto a Verona. Berlinguer ha ringraziato quei militanti socialisti che subito dopo il rombo ostile erano corsi a chiedergli autografi, a stringergli la mano. “Anche fischi e urla vanno visti come espressione di stati d’ animo che chiunque dovrebbe cercar di capire serenamente, nelle loro diverse motivazioni”. Uno stato d’ animo che, a parere del leader comunista, è venuto solo “da una parte dei delegati e degli invitati”.
E tuttavia, ammette, “nessuna delegazione di altri partiti è stata mai fatta segno ad alcun atto di offesa e nemmeno di scortesia. In nessuno dei congressi degli altri partiti che si sono svolti negli ultimi mesi si sono avute, contro noi comunisti o contro altre delegazioni, manifestazioni del tipo di quella di ieri a Verona, nei nostri confronti”.
Commento gelido, i fatti parlano da soli. Più dettagliato invece il giudizio critico sulla sostanza dell’ intervento di Craxi. Con la denuncia di “due lacune sorprendenti”. L’ aver trascurato quasi completamente la condizione della donna (“appena nominata in mezza riga, in fondo a un elenco di categorie da assistere”), e il “silenzio ermetico” sugli ultimi sviluppi della vicenda P2, che “ha visto una inconcepibile intimidazione del ministro del Bilancio su un organo del parlamento”.
Mai così lacerati come negli ultimi mesi, i rapporti tra socialisti e comunisti hanno conosciuto, nell’ accoglienza tempestosa di queste giornate veronesi, una conferma di base a un’incompatibilità che si riteneva circoscritta ai soli vertici dei due partiti. Sicchè ora quella che Spadolini definisce “una partita ancora aperta a sinistra” sembra giocarsi tra la volontà del Psi di dimostrarsi partito di sinistra e la parallela determinazione del Pci nel provare che più d’un comportamento dell’attuale dirigenza socialista rientra in ben altra collocazione politica.
Ancora Berlinguer, ieri a Nogara: nel discorso di Craxi “non c’ era il benchè minimo sforzo di comprendere e rendersi conto di che cosa agita oggi l’ animo di tanta parte delle classi lavoratrici e delle masse popolari. E quindi dei motivi profondi alla base del malessere e della protesta che hanno sospinto tanti milioni di persone a scendere in lotta”.
E’ questa “una prova”, secondo Berlinguer, che “l’ anticomunismo pregiudiziale preclude ogni possibilità di intendere le condizioni reali, i sentimenti e la volontà di una parte grande che ha un peso decisivo, del nostro popolo”.
Conclusione logica dunque: Craxi e il suo Psi non sono sinistra.
Verona allora come termometro di questa storica contesa? Il ricordo di quel grande, ostile boato anti-Berlinguer pesa qui fino a un certo punto. A molti procura aperta soddisfazione. Quasi un senso di sfida raccolta e rilanciata.
Tardivo, plateale regolamento di conti sospesi. E magari anche “atto liberatorio”. Ieri il comunista Petruccioli e il socialista Cassola ostentavano strette di mano, invitavano i fotografi ad immortalarle. Volenteroso segno distensivo. Il malumore prevalente nel garofano è un altro. “Le parole pesano. Berlinguer ha detto che in questo governo ci sono elementi di regime. Cosa sospettava?”, afferma lo stesso Cassola. “Calma, non precipitiamo. Il congresso deve ancora chiudersi”, frena Rino Formica.
Giuliano Amato tenta invece una spiegazione in chiave politologica. “E’ solo la conseguenza d’ un fenomeno che investe un po’ tutti i partiti. Nel momento in cui la gente pare staccarsi dalla politica e tende a sovrapporre tra loro tutti i simboli, chi milita in un partito accentua il suo attaccamento alla bandiera. E reagisce duramente a chi l’attacca”. Ciò non toglie che i grandi applausi per Berlinguer a Palermo (penultimo congresso socialista) e l’ ovazione per Craxi a Milano (ultimo congresso comunista) sembrano lontani anni luce dal minaccioso rombo polemico che ha accompagnato l’ingresso della dirigenza comunista nell’arena veronese. C’era voluta la buona volontà del presidente Mario Rigo, per riportare la calma. Anche se oggi, lo stesso Rigo, ammette: “Per la verità, io pensavo che quei fischi fossero per Longo”.
L’episodio crea qualche imbarazzo nel partito. Ma non troppo. Michele Achilli, della sinistra, parla di “reazione emotiva” che ha forse prevalso sulla ragione. Limita l’intolleranza al solo Berlinguer. Dice che la protesta è partita dai soli invitati. All’opposto Giusy La Ganga trova quei fischi “belli, spontanei. E’ finita l’ epoca dei riflessi condizionati, quando al Pci si applaudiva sempre”. Franco Piro ridimensiona. Chiama in causa, per bilanciare l’impatto negativo, “gli applausi a Lama, applausi di speranza”.
Aggiunge Maurizio Sacconi (area De Michelis): “Quella protesta bisogna leggerla come stimolo alla parte propositiva e riformista del Pci”. “No, proprio non mi sorprende”, conclude Claudio Signorile, leader della sinistra. “Non interpreto quei fischi come rottura estremista. Sono stati la reazione della platea di un partito che nei mesi scorsi si è sentito più volte accusare di aver mutato la sua natura”. Insomma, par di capire, Berlinguer se l’è voluta.