di Stefano Marroni, La Repubblica 19 ottobre 1999
Una rete di spionaggio del Kgb aveva il compito di screditare il segretario del Pci negli anni ’70
ROMA – Ai suoi, parlando in libertà, Enrico Berlinguer non lo nascondeva: “Mi fido dei sovietici – diceva con il mezzo sorriso di tante istantanee – esattamente quanto mi fido degli americani…“.
A quindici anni dalla sua morte, una prima assoluta certezza emerge dalle carte del Kgb sull’Italia: a Mosca era da sempre stata ricambiata, la diffidenza del segretario. Di più: aveva innescato una guerra segreta. Almeno da metà anni ’70, i servizi sovietici furono messi al lavoro “contro la dirigenza del Pci e l’ eurocomunismo”. Contro Berlinguer, in particolare, fu “studiato un piano” per “comprometterlo”, raccogliendo materiale sulle proprietà ereditate dal segretario del Pci: “Possedeva un pezzo di terra in Sardegna – recita il rapporto Impedian 130 – ed era stato coinvolto in un affare equivoco relativo ad intrighi edilizi per decine di miliardi“.
Ha lo status di un osservato speciale più che di un “partito fratello“, il Pci raccontato dalle spie di Mosca. È certo una forza importante, che pesa, e che dunque va attentamente studiata, per provare ad influenzarla. Ma è soprattutto un partito dalla politica internazionale “strana e contraddittoria”, e con una politica interna “che irrita i marxisti impegnati”. In conto a Botteghe Oscure, il Kgb allinea una serie impressionante di capi d’ accusa. Ci sono i “contatti con rappresentanti Usa”. C’è “la posizione sull’appartenza dell’Italia alla Nato”, sotto il cui ombrello Berlinguer diceva di sentirsi “più sicuro”. C’è la “tolleranza sull’aggressività politica di Israele”. Ci sono ancora – appena avviati – pericolissimi “tentativi di sviluppare contatti con il Partito comunista cinese”. E poi la politica interna, e le “polemiche con il Pcus su questioni di religione”, e sulla “dissidenza e gli eventi in Cecoslovacchia”. È un Pci forte, quello fotografato nel dossier Mitrokhin: è il Pci del “compromesso storico”, che raccoglie oltre il 30 per cento dei voti e avvia il confronto con altri partiti comunisti occidentali – su tutti, il Pcf e il Pce – che passò con il nome di “eurocomunismo”. Sta qui, probabilmente, la molla che fa scattare Mosca dalla diffidenza all’ostilità aperta, sullo sfondo della preoccupazione per un progetto che “indebolisce il movimento comunista internazionale, che allontana questi partiti dall’Urss e li mina all’interno”.
Niente di strano – stando così le cose – che sia Juri Andropov in persona, allora capo del Kgb e poi segretario del Pcus dopo la morte di Breznev, ad “istruire” il servizio per operazioni contro Botteghe Oscure. Alla “residentura” di Roma – si legge in Impedian 194 – viene chiesto di “concentrare la propria attenzione sui contatti reciproci e sull’avvicinamento tra il Pci e il Partito comunista francese, nonché sulle questioni interne del Pci”. E nell’ottobre ’78 Mosca riflette a lungo prima di respingere la proposta della “residentura” di Parigi di “mettere in pratica una misura attiva per inasprire i disaccordi tra il Partito comunista francese e quello italiano”.
È un’ossessione, quella del Kgb per il Pci di Berlinguer, che viene da lontano. È del ’70, il primo rapporto sul futuro leader di Botteghe Oscure. Luigi Longo, che è seriamente ammalato, lo ha già scelto per la successione, nominandolo vicesegretario generale. “Lo giudica il migliore”, annotano i sovietici: e così si affanna per attenuare la diffidenza di Mosca (“l’amicizia con il Pcus non è una formalità“) e difenderlo contro dirigenti più anziani e conosciuti, da Giorgio Amendola (“Ha troppo del borghese democratico“), a Gian Carlo Pajetta (“E’ troppo collerico, non avrebbe favorito l’unità“), a Pietro Ingrao, che liquida come “superficiale e dedito a teorie che lo allontanano dalla realtà”. È comunque con Berlinguer che Boris Ponomariov – riferisce Impedian 192 – ha già fatto i conti per cercare di attenuare il giudizio del Pci sull’invasione della Cecoslovacchia. Alla fine, tirato a sinistra dal “Manifesto” e a destra dai conservatori, il gruppo dirigente del Bottegone accetta di eliminare le espressioni più ostili all’Urss: ma “ambigue dichiarazioni – sottolinea il Kgb – non furono cancellate dal documento”.
Dalla loro, i sovietici sanno di avere ancora un pezzo del gruppo dirigente del Pci. E non solo i vecchi epigoni dello stalinismo. Armando Cossutta – ad esempio – ha fatto con Togliatti la guerra contro gli uomini di Secchia e Donini. Ma “nella notte del 12 dicembre ’75” ha un incontro segreto con l’ambasciatore Nikita Ryzhkov. Da pochi mesi estromesso dalla segreteria, spara a zero contro i “toni antisovietici” del segretario, contro una politica che giudica “un vile rifiuto del leninismo”. L’amicizia con l’ Urss – riferisce Impedian 132 – “non deve essere messa in discussione da nessuno”, e in presenza di nuovi “attacchi ostili” di Berlinguer “il Pcus avrebbe dovuto con calma aprire un dibattito aperto”, salvando la situazione anche a costo di “spaccare il Pci”. È l’inizio di un rapporto di ferro.
Spezzato – quattordici anni dopo – solo dalla fine dell’Urss.