di Giorgio Bocca, L’Espresso, 12 settembre 2003
Una preghiera, Fassino e compagnia: scrivete pure i vostri libri, scoprite pure il riformismo, ma il paragone fra il leader del Pci e Craxi, questo no.
Due cose non cessano di stupirmi dell´ex comunismo nostrano, dei suoi dirigenti almeno: il ripudio della loro storia, la vergogna per colpe che non furono del loro partito, ma dello stalinismo di cui erano stati le prime vittime. Il direttore dell´Istituto Gramsci, che dovrebbe far parte della memoria storica e culturale del partito comunista, ha raccattato negli archivi sovietici documenti e li ha usati fuori del loro contesto storico per diffamare Palmiro Togliatti. Il giornalismo anticomunista pubblica e ripubblica memorie di segretari o reggicoda di Togliatti per descrivere lui e il suo partito come dei sicari di Stalin, come se non fosse stato il partito della ricostruzione, delle lotte operaie e contadine, della lotta al terrorismo.
Di fronte a questa infamia revisionista un vecchio liberalsocialista e anticomunista come il sottoscritto non può che riflettere melanconicamente sulla pianta storta della umanità.
Il secondo motivo di stupefazione e di amarezza è il recupero di Bettino Craxi come modello di ciò che si sarebbe voluti essere e non si è stati, riformisti moderni, capaci di cogliere in tempo i mutamenti della società, la scomparsa dei vecchi idoli operaisti, e quasi un sentimento di solidarietà contro il complotto dei giudici giustizialisti, quasi un rimorso di non aver sostenuto il leader socialista quando in Parlamento faceva la sua chiamata di correo, del tutti colpevoli nessun colpevole.
E come non bastasse la presa di distanza dal ´moralista´ Enrico Berlinguer fino alle sbalorditive dichiarazioni di Piero Fassino sul compagno sempre comunista Giuliano Ferrara.
Il revisionismo che corregge gli errori delle ´storie sacre´, delle storie di partito, di regime, di parrocchia fa parte della storia, integra la storia, ma quello che la inventa, la deforma, la ridicolizza è una caricatura della storia, un suo uso indecente.
Accettare la versione craxiana di un complotto dei magistrati comunisti per abbattere il campione del nuovo socialismo è una variazione, questa sì, di stampo stalinista. Il campione del nuovo socialismo, oggi rimpianto a destra come a sinistra, probabilmente nella speranza di recuperare quell´11 per cento di voti squagliatisi come neve al sole, è stato, nella storia e non nelle manovre opportunistiche, il distruttore del partito socialista.
Forse il moralismo di Enrico Berlinguer era tardivo e velleitario, ma il pragmatismo affaristico di Craxi era una vergogna che noi liberalsocialisti, noi azionisti abbiamo vissuto con stupore e pena, sin dal giorno della unificazione e della pubblica presentazione del nuovo partito craxiano ´dei nani e delle ballerine´.
I Borrelli, i Di Pietro dovevano, per così dire, ancora nascere e il partito di Craxi delle tangenti e degli assessori era già in piena metastasi, raccoglieva tutti gli avventuristi e opportunisti dei famosi ceti emergenti, li radunava in congressi hollywoodiani, ma nel contempo svuotava le sezioni di partito: nelle 37 sezioni milanesi gli iscritti se ne andavano, i militanti si trasformavano in esattori di tangenti, il partito scompariva dall´hinterland e lasciava ai parroci il compito di far fronte all´immigrazione e alla delinquenza.
Quando si mossero i Borrelli e i Di Pietro, il partito socialista non esisteva più e la sua direzione, come ricorda l´architetto Larini, quello che portava i pacchi di soldi nell´ufficio craxiano di piazza Duomo, si riuniva al ristorante Matarel per parlare solo di affari. Per non dire dei miliardi affidati agli amici di Portofino.
Una preghiera, Fassino e compagnia: scrivete pure i vostri libri, scoprite pure il riformismo, ma il paragone fra Enrico Berlinguer e Bettino Craxi, questo no.