di Edoardo Sanguineti, l’Unità, 13 giugno 1984
Quando, alcuni anni fa, apparve un film fortunato che recava in titolo la dichiarazione «Berlinguer ti voglio bene», probabilmente lo stesso Benigni non poteva sapere che stava formulando quello che doveva manifestarsi, in breve, come un sentimento collettivo concreto, e quasi come un giudizio definitivo, non soltanto di un partito e di una classe, ma di una nazione, nell’ora in cui il male lo colpi nel comizio di Padova.
Oggi, in ogni caso, quel titolo è diventato il migliore epitaffio per l’uomo. E si ha l’impressione che i richiami medesimi all’onestà, alla lealtà, alla giustizia di Berlinguer intervengano quasi a razionalizzare e a contenere un impulso affettivo più radicale. Perché, è vero, ma in un mondo in cui gli uomini amabili non sembrano poi essere molti, a Berlinguer abbiamo voluto bene tutti, dal militante più rigoroso all’avversario più rancoroso.
Si dice che fosse timido. Ma, per quel poco che posso testimoniare, anche questa impressione di timidezza è piuttosto una semplice metafora di ordine affettivo. Credo che si volesse dire, e si voglia dire ancora, nel ricordo, semplicemente che non fu, per fortuna, un capo carismatico.
Viveva in prosa, piuttosto che in austerità, e cosi era facile pensare che, indifeso, aspirasse a proteggersi. Era una personalità, piuttosto, che escludeva e allontanava ogni forma di possibile culto, e per lui, per questo appunto, era possibile sentire affetto, con discrezione, con ragione, con fedeltà.
Con Berlinguer la coscienza critica e autocritica ha potuto laicizzarsi definitivamente. Nel bilancio politico, che più importa, per un uomo che si è risolto, con insignita, modesta pazienza, nella sua pratica di comunista, i grandi temi del compromesso, della solidarietà, della alternativa hanno avuto
fondazione e correzione sopra il nudo controllo dell’indagine aperta e concreta e del principio di realtà. Certo egli era sicuro, e ci ha aiutato a rassicurarci in questo, che il solo socialismo reale è quello che sa davvero ereditare e inverare la filosofia classica, incarnando e oltrepassando i fantasmi ideali della democrazia borghese.
Con questo egli non assolse soltanto un compito nazionale, ma seppe svolgere un ruolo, al di là del cosiddetto eurocomunismo, di ordine genericamente umano. Aveva imparato bene, da Gramsci, che la verità è sempre rivoluzionaria. E la storia ha talvolta bisogno di un uomo che possegga quell’autorità che deriva soprattutto dal fatto che gli si vuole bene, perché una verità possa essere pronunciata in maniera piena e insospettabile. Attraverso quello che oggi volgarmente viene definito come lo «strappo» e che è in sostanza il corretto restauro del «sogno di una cosa», di fronte alla spietatezza del secolo, la storia, in Berlinguer, ha così trovato il suo uomo.