Apprendiamo con dolore la notizia della scomparsa dello scrittore e giornalista genovese Enzo Costa, stroncato da un’improvvisa crisi respiratoria mentre si trovava in casa, a soli cinquant’anni. “Berlingueriano”, era un attento osservatore critico della Sinistra e delle sue contraddizioni, indipendente, libero. Noi di www.enricoberlinguer.it lo ricordiamo con le bellissime parole che aveva scritto su Enrico, in questo scritto intitolato “Berlinguer per me”. Ciao Enzo, continueremo la tua lotta.
Qualcuno dice che Berlinguer era un politico timido. Certo, a quei tempi, che non erano questi, poteva permetterselo: «un politico timido» non era un ossimoro innaturale, assurdo ed inconcepibile. Ma un’eccentricità, in qualche modo, lo era. Però dire che fosse timido non è esatto, o meglio non è sufficiente: Berlinguer era timido anche nella sua timidezza. La timidezza lui la portava con pudore, spesso si vedeva che lo imbarazzava politicamente, si intuiva che stesse pensando «il segretario del PCI non deve esibire le proprie introversioni», e allora provava a darsi un contegno istituzionale, a volte (nelle tribune politiche) scandendo meglio le parole, scolpendole con una sorta di solennità sarda.
Perché timido sì, ma un leader Berlinguer lo era eccome. E poi, era tante altre cose: Berlinguer era una persona seria. Berlinguer era una persona troppo seria. Berlinguer non era una persona seriosa. Berlinguer era una persona e non un personaggio, una personalità e non un personalismo. Berlinguer era la politica della mia giovinezza. Berlinguer era la politica in bianco e nero. Berlinguer era Jader Iacobelli che lo introduceva a Tribuna Politica senza quasi mai ammiccare, tanto poi arrivava lui che non ammiccava per nulla. Berlinguer era l’austerità nello spirito e nel fisico, nella pettinatura e nelle giacche, e poi nel pensiero politico. Berlinguer era la sinistra italiana quando sembrava che la definizione avesse un senso. Berlinguer era lo strappo da Mosca, coraggioso ma lento, cauto ma ostinato, indefinito ma definitivo, che dentro lo lacerava. Berlinguer era un’incompiuta in pieno corso, una scommessa che si poteva benissimo perdere, una speranza che non si voleva spegnere. Berlinguer era l’eurocomunismo, il compromesso storico, la solidarietà nazionale. Berlinguer erano i progetti ambiziosi e affannosi, le visioni lucidamente opache, i ‘pensieri lunghi’, il pessimismo della volontà, l’ottimismo della ragione. Berlinguer era l’inizio del titolo di un film di Benigni, era Benigni che lo prendeva in braccio. Berlinguer era un poeta (l’ha detto Benigni). Berlinguer non era la Madonna (l’ha detto Scalfari) Berlinguer era un politico in ritardo con la Storia con tutte le qualità per passare alla Storia. Berlinguer era una sinistra poco moderna per gli stessi che ora, rievocandolo con rimpianto, dicono che la sinistra è troppo moderna. Berlinguer era l’opposto di Craxi, l’interfaccia di Moro, il figlio di Pertini, un non consanguineo di Andreotti, un non connazionale di Berlusconi. Berlinguer erano le classi deboli che andavano tutelate e non manipolate, fatte crescere e non rimbambire, educate nelle sezioni e non narcotizzate con le televisioni. Berlinguer erano gli operai che c’erano e non dovevano sparire, era la marcia dei 40.000 e la sconfitta di Mirafiori, così terribilmente vincente, rispetto alla disfatta di oggi. Berlinguer era un’idea di società, forse utopistica, forse confusa, ma era un’idea ed era una società. Berlinguer era la sua vita sussurrata, la sua morte gridata, il suo funerale intimo e trionfale. Un dolore potente, dirompente e imponente. E timido.