Diciotto anni fa, quando Mani Pulite cominciava a muovere i primi passi, la corruzione aveva un giro di affari di 10.000 miliardi di lire (5 miliardi di euro) e produceva un indebitamento pubblico tra i 150.000 e i 250.000 miliardi di lire, più 15/25.000 miliardi di interessi passivi.
La fotografia di quel 1992 mostra un Paese sull’orlo della bancarotta, completamente fuori dai parametri di Maastricht: debito al 118% del PIL (anziché al 60); tasso di inflazione al 6,9% (invece del 3); deficit di bilancio all’11% (anziché al 3). Il 16 settembre passa alla storia come “il mercoledì nero” della lira, il cui valore negli scambi con le altre monete crolla a tal punto da costringerla ad uscire dal Sistema Monetario Europeo.
La conseguenza di tutto ciò, in termini economici, portò il Governo Amato a varare una Finanziaria lacrime e sangue da 30.000 miliardi di lire, che avviò le famose privatizzazioni e introdusse una valanga di tasse e balzelli vari che tutt’oggi gravano sulle tasche dei cittadini onesti che le tasse le pagano. Diciotto anni fa la crisi economica scardinò la Prima Repubblica e distrusse i grandi partiti di massa, portando sulla scena politica italiana homines novi che poi tanto novi non erano: ma ieri come oggi la crisi economica è figlia della Crisi Morale.
Oggi il quadro è ancora più fosco: il giro di affari della corruzione è di 60 miliardi di euro (7 punti del PIL), il rapporto deficit/pil al 113%, gli interessi passivi sul debito sono 70 miliardi. La Corte dei Conti ha stimato che la Guardia di Finanza, nel 2009, ha ricevuto il 229% in più di denunce per corruzione, il 153% per concussione e ci sono state 200mila riscossioni irregolari.
Non è quindi il “ritorno della corruzione”, come titola qualche notiziario. La corruzione, in realtà, non se n’era mai andata, ha continuato a far parte della vita quotidiana di milioni d’italiani dopo Tangentopoli come lo era stata prima, che era sopportata come vezzo per impedire l’affermazione dell’odiato comunismo. Ciononostante, diciotto anni fa gli Italiani scendevano compatti nelle piazze, senza distinzioni di bandiere e senza patriottismi di partito: i ladri non avevano colore politico. Oggi invece la gente, tanto abituata com’è agli scandali, non si indigna nemmeno più e fa quasi finta di niente: oramai le condanne per corruzione, che in un paese normale metterebbero fine alla carriera di chiunque, in Italia fanno curriculum e in certi casi ti fanno guadagnare anche l’intitolazione di qualche via, piazza o parco.
Non è del resto colpa loro: da quando anche a Sinistra usano definire la Questione Morale come Anti-Politica e si mettono a riabilitare Craxi, gli elettori non vedono perché mai dovrebbero preferire alla Destra una Sinistra svuotata di senso e di significato.
Da anni, del resto, destra e sinistra discutono sulla forma del glorioso federalismo, quella cosa che dovrebbe porre fine a qualsiasi conflitto, ad ogni corruzione, a qualsiasi clientela; in realtà fingono di non vedere quello che veramente è il federalismo nell’unico settore in cui è già stato realizzato: la sanità. Quella voce che da sola occupa i due terzi dei bilanci delle Regioni, una melassa di sprechi, mazzette, appalti truccati, affari illegittimi, fatti sulla pelle dei cittadini (e purtroppo non in senso metaforico).
Del resto, lo diceva anche Montanelli: “Noi Italiani siamo riusciti a corrompere anche la corruzione e a stabilire con essa il rapporto di pacifica convivenza che alcuni popoli africani hanno stabilito con la sifilide, orami diventata nel loro sangue un’afflizioncella di ordine genetico senza più gravi controindicazioni. Ci siamo riusciti seguendo la più semplice delle terapie: quella non di spegnere i roghi, ma di mandarci, assieme alle streghe e agli untori, anche i pompieri, in modo da creare un tale viluppo di corpi, di anime e di responsabilità, che non consenta altra soluzione che l’assoluzione.”
Quante Repubbliche dovranno collassare, prima che chi oggi gestisce il potere capisca l’eterna validità della Questione Morale, posta con forza da Berlinguer oramai trent’anni fa?
Diceva Pablo Neruda: “Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine.” Vale per gli uomini, ma vale anche per la Democrazia: soprattutto se questa abitudine si chiama corruzione.
…non ha mai cessato di esserlo…