dalla relazione al XIV Congresso del Pci, marzo 1975
Se vogliamo gettare uno sguardo più lontano, si può pensare che lo sviluppo della coesistenza pacifica, e di un sistema di cooperazione e integrazione così vasto da superare progressivamente la logica dell’imperialismo e del capitalismo e da comprendere i più vari aspetti dello sviluppo economico e civile dell’intera umanità, potrebbe anche rendere realistica l’ipotesi di un «governo mondiale» che sia espressione del consenso e del libero concorso di tutti i paesi. Questa ipotesi potrebbe uscire così da quel regno di pura utopia nel quale si collocarono i progetti e i sogni di vari pensa tori nel corso degli ultimi secoli.
La prima necessità ci sembra quella di considerare tutti i temi della cooperazione nella loro globalità, sia nel senso di valutarne tutti gli aspetti immediati e di prospettiva anche lontana, sia nel senso di coinvolgere e di associare tutti i paesi e tutte le aree del mondo.
Globalità significa dunque, ovviamente, non limitarsi ai problemi pur rilevanti del petrolio, ma aprire la trattativa anche sulle altre fonti energetiche, su tutte le materie prime, sui prodotti industriali ed agricoli, sui servizi, sulla tecnologia e sulla ricerca. E tutto ciò noi vediamo non solo in termini di sviluppo degli scambi e di giusta definizione dei rapporti finanziari e monetari che vi sono connessi, ma anche e soprattutto in termini di vera e propria cooperazione, verso forme sempre più estese e organiche di divisione internazionale del lavoro reciprocamente vantaggiosa e di integrazione.
C’è chi grida dai tetti che è vicino l’esaurimento delle risorse del nostro pianeta e che la sola soluzione è quella di fermare allo stadio attuale lo sviluppo produttivo e i consumi. Ma si pensi a quali risultati potrebbe portare una cooperazione mondiale rivolta a scoprire e utilizzare le inesauribili fonti di energia che possono venire non solo dall’uranio, ma dall’idrogeno e forse più ancora dal sole, dagli oceani e dalle profondità in parte sconosciute e comunque ancora così largamente inesplorate del sottosuolo! Si pensi anche alle immense distese di terre che potrebbero essere conquistate o riconquistate alla fertilità e alla coltura!
È chiaro che un sistema di cooperazione di così vasta portata, mentre darebbe un impulso vigoroso, sinora non concepito, al risollevamento e allo sviluppo delle aree arretrate, creerebbe basi e sbocchi nuovi, anch’ essi finora non concepiti, all’ulteriore sviluppo economico e scientifico dei paesi già industrializzati. Ma ciò richiederebbe che la riconversione produttiva di tali paesi – che la crisi in atto rende comunque urgente – sia già fin d’ora consapevolmente impostata guardando a questi nuovi traguardi dell’intera umanità.
Ecco la sola prospettiva nella quale si possono saldare gli interessi e le aspirazioni dei popoli delle aree arretrate con quelle dei popoli dei paesi dell’Occidente: operai e lavoratori di altre categorie, milioni di disoccupati e di sottoccupati, giovani in cerca di lavoro, tecnici, ricercatori e intellettuali oggi costretti in una routine avvilente, priva di valori autentici e di prospettive, ceti produttivi che non hanno punti di riferimento sicuri e stabili per la loro iniziativa imprenditoriale.
Ecco la sola prospettiva in cui possono trovare soluzione questioni come quella dell’emancipazione femminile, che sta esplodendo come una grande questione mondiale. È chiaro ormai, infatti, che, come vi sono interi popoli che non vogliono e non possono essere più tenuti ai margini deIla storia, così le grandi masse femminili aspirano anch’esse alla conquista di una piena dignità e parità:
Per avviare anche gradualmente un sistema di cooperazione mondiale c’è bisogno del contributo attivo di ogni paese del mondo, grande o piccolo che sia. Ed esso può presentare vantaggi concreti per tutti.
Saldi fattori oggettivi e forze crescenti stanno dunque a fondamento della necessità e possibilità della distensione internazionale. A favore della distensione non giocano soltanto la paura della catastrofe atomica, ma anche altre cause, quali il peso ormai intollerabile della corsa agli armamenti ed enormi interessi economici e, soprattutto, l’aspirazione incontenibile di centinaia di milioni di uomini semplici a un avvenire di pace, di giustizia e di serenità.
E in effetti, dal 1953 in poi, la tendenza che ha prevalso è quella che porta, sia pure in modi tortuosi e superando momenti di crisi acutissime, verso la distensione e la coesistenza. È insensato proporsi in qualunque modo di arrestare questo corso storico. Il compito è oggi quello di portare tale corso a una nuova fase caratterizzata dall’ attiva costruzione di un solido e sicuro assetto mondiale di coesistenza pacifica e di cooperazione per lo sviluppo dell’intera umanità e per la giustizia in ogni parte della Terra.
Al di fuori di questa prospettiva può esservi solo un avvenire buio di tragedie inimmaginabili e delle cui dimensioni, tuttavia, alcuni scienziati hanno cercato di dare anticipazioni agghiaccianti, esaminando le conseguenze che deriverebbero all’umanità se continuassero a svilupparsi nell’attuale modo anarchico e incontrollato tendenze quali quelle in atto: all’aggravamento degli squilibri economici; agli sprechi e alle devastazioni determinate dalla carenza di una razionale e unitaria politica delle risorse; all’estendersi dei fenomeni di denutrizione, di carestia e di siccità; al dilagare delle malattie endemiche; al crescere del disordine e al ripetersi di crisi sempre più frequenti e acute in ogni campo della vita dei paesi capitalistici sviluppati.
Ma se non può essere dubbio che la cooperazione è la sola via per evitare queste tragedie, dobbiamo avere anche ben chiaro che raggiungere l’obiettivo di un sistema mondiale di cooperazione è tutt’altro che facile. Esso richiede una lotta ardua e complessa perché si tratta di sconfiggere interessi gretti e ristretti, ma assai potenti, che vi si oppongono e lo contrastano secondo la logica intrinseca ai meccanismi dell’imperialismo e del capitalismo attuali.