Articolo su «Rinascita», giugno 1984
Ormai tutti vedono che le coalizioni che prendono vita alle spalle del Parlamento, che i governi che non vogliono e non sanno governare con e attraverso il Parlamento, che sono il prodotto di questi meccanismi e di questi metodi consunti, e divenuti anche pericolosi, non sono coalizioni realmente solidali ed efficienti. I partiti delle maggioranze delimitate che compongono quelle coalizioni stanno insieme al governo spalleggiandosi per poter conservare il loro potere sulle istituzioni e sulla società, ma ciascuno è dominato dalla paura che un altro lo scavalchi.
E allora si va alle ben note «verifiche», dopo le quali, tuttavia, quelle coalizioni restano egualmente divise, continuano a covare contrasti, dai quali possono venire o oscillazioni, incertezze e paralisi dei governi, ovvero polemiche e lacerazioni: queste ultime, però, esplodono per lo più fuori del Parlamento (negli organi di partito, nei convegni, sulla stampa).
Nel Parlamento esse o vengono artatamente coperte e dissimulate o si manifestano nella forma patologica dei «franchi tiratori». Si corre, allora, ai ripari; ma, ancora una volta, i rimedi a cui si pensa vanno prevalentemente in direzione di un indebolimento dei poteri del Parlamento.
Sicché la profonda esigenza di restituire alle istituzioni la funzionalità e il ruolo che spetta loro in una Repubblica democratica a base parlamentare viene distorta e tradita. Attraverso alcune delle «riforme» di cui si sente oggi parlare si punta a piegare le istituzioni, e perciò anche il Parlamento, al calcolo di assicurare una stabilità e una durata a governi che non riescono a garantirsele per capacità e forza politica propria.
Ecco la sostanza e la rilevanza politica e istituzionale della «questione morale» che noi comunisti abbiamo posto con tanta decisione.
Anche la irrisolta questione morale ha dato luogo non solo a quella che, con un eufemismo non privo di ipocrisia, viene chiamata la Costituzione materiale, cioè quel complesso di usi e di abusi che contraddicono la Costituzione scritta, ma ha aperto anche la strada al formarsi e al dilagare di poteri occulti eversivi (la mafia, la camorra, la P2) che hanno inquinato e condizionano tuttora i poteri costituiti e legittimi fino a minare concretamente l’esistenza stessa della nostra Repubblica.
Di fronte a questo stato di cose, di fronte a tali e tanti guasti che hanno una precisa radice politica, non si può pensare di conferire nuovo prestigio, efficienza e pienezza democratica alle istituzioni con l’introduzione di congegni e di meccanismi tecnici di dubbia democraticità o con accorgimenti che romperebbero anche formalmente l’equilibrio, la distinzione e l’autonomia (voluti e garantiti dalla Costituzione) tra Legislativo, Esecutivo e Giudiziario, e accentuerebbero il prepotere dei partiti sulle istituzioni. Riforme delle istituzioni volte a ridare efficienza e snellezza al loro funzionamento sono certo necessarie. Ma esse a poco servirebbero se i partiti rimangono quello che sono oggi, se seguitano ad agire e a comportarsi come agiscono e si comportano oggi, se non si risanano, se non si rigenerano, riacquistando l’autenticità e la pienezza della loro autonoma funzione verso la società e verso le istituzioni.
Altrimenti, a che cosa si va incontro è facile prevederlo oggi, più di quanto non lo prevedesse già venti anni fa Togliatti, nel suo ultimo discorso alla Camera, due settimane prima di morire. In quell’occasione, riferendosi all’Italia e all’Europa, egli constatava «la tendenza alla limitazione progressiva delle istituzioni democratiche e all’autoritarismo».