di Pierpaolo Farina, editoriale apparso su “I Siciliani” del 9 aprile 2014
«E anche quando non ci fosse stata o non ci fosse una responsabilità del tutto accertata, penso che avesse del tutto ragione il presidente della Repubblica quando ha detto “qui siamo chiaramente in presenza di un’associazione a delinquere”. Un politico che ne fa parte, o è sospettato di farne parte, non può pensare di essere assolto per insufficienza di prove. Certo, può essere assolto, cioè non condannato da un tribunale, ma deve avere almeno il gusto, lo stile di ritirarsi dalla politica e di scegliere un altro mestiere.»
Quando queste parole furono pronunciate in diretta tv di fronte a milioni di italiani correva l’anno 1981. Una vita fa. La trasmissione era Tribuna Politica, la puntata quella del 15 dicembre. Chi parlava, in un inconfondibile accento sardo, era un uomo di 59 anni, da quasi 10 alla guida del più grande partito comunista d’Occidente, che sotto la sua guida aveva raggiunto il massimo storico alle elezioni politiche del 20 giugno 1976. Quell’uomo era Enrico Berlinguer.
Oggi, se un qualsiasi politico provasse a pronunciare parole del genere, sarebbe subito accusato di giustizialismo, soprattutto a Sinistra: allora invece quando Enrico Berlinguer parlava di Questione Morale nessuno fiatava, anzitutto perché, a differenza di certi suoi meri successori, aveva la credibilità politica per farlo. E c’era addirittura un Presidente della Repubblica, socialista e partigiano, che, oltre ad essere salito al Quirinale al grido “Se adeguarsi vuol dire rubare, io non mi adeguo!”, di fronte a milioni di italiani l’ultimo dell’anno aveva tuonato: «Vi è un proverbio che si usa dire: che la moglie di Cesare non deve essere sospettata. Ma prima di tutto è Cesare che non deve essere sospettato. […] E ripeto quello che ho detto altre volte: qui le solidarietà personali, le solidarietà di partito, diventano complicità.»
Di tutto questo, quando li si ricorda, non si fa cenno alcuno. E il perché è presto detto: Sandro Pertini ed Enrico Berlinguer rappresentano ancora oggi l’esempio di come sia possibile fare e intendere la politica in modo diametralmente opposto ai Lor Signori che ci hanno malgovernato e ci malgovernano tuttora. Pensavano di averli seppelliti entrambi ai funerali di Berlinguer. Bettino Craxi, inquadrato dalla tv di Stato, se la ride, mentre Pertini al suo fianco non riesce a trattenere le lacrime. Ride, il primo rottamatore della storia d’Italia, di quel vecchio che piange, dei suoi ideali stupidi, inservibili e ingombranti, di quella folla che non ha capito che con Berlinguer si seppellisce non un leader, ma anche la loro patetica speranza di un’Italia diversa da quella dei nani, delle ballerine e delle tangenti che verrà. Ride di quei discorsi così demodé sulla Questione Morale, sull’austerità, sulla libertà che senza giustizia sociale è solo libertà di morire di fame.
Trent’anni dopo si è visto chi aveva ragione. Forse è il caso di recuperare Pertini e Berlinguer: non per metterli in vetrina in un Pantheon, ma per praticarne l’esempio. Già, l’esempio: a volte è molto più rivoluzionario questo di qualsiasi presa del palazzo d’Inverno.