Tribuna Politica, 15 dicembre 1981 (dopo la presa del potere del generale Jaruzelski in Polonia)
La direzione del Pci si è riunita dopo aver conosciuto i gravi fatti verificatisi nella notte tra sabato e domenica in Polonia, e ha detto, penso, quello che andava detto immediatamente. Essa ha espresso la nostra ferma condanna dello stato d’assedio proclamato in Polonia e la condanna degli arresti e della soppressione della libertà democratiche e sindacali. Ha anche chiesto che gli arrestati vengano rilasciati, che le libertà vengano ripristinate e che si possa riaprite la via del dialogo fra le diverse componenti della società polacca, per trovare una soluzione politica, quindi non basata sulla forza e sulla repressione, alla grave crisi che ha scosso, e scuote tuttora la Polonia. Se vogliamo esaminare lo sviluppo degli avvenimenti polacchi, noi pensiamo che la loro origine principale stia nei gravi errori di indirizzo economico e, di metodi di gestione del potere che sono stati compiuti dal Partito comunista al governo e che hanno provocato una rottura fra il potere e larghe masse della cittadinanza, innanzitutto della classe operaia.
Quello che mi pare si possa dire in linea generale, forse su questo tema potremo tornare, è che ciò che è avvenuto in Polonia ci induce a considerare che effettivamente la capacità propulsiva di rinnovamento delle società, o almeno di alcune società, che si sono create nell’est europeo, è venuta esaurendosi. Parlo di una spinta propulsiva che si è manifestata per lunghi periodi, che ha la sua data d’inizio nella rivoluzione socialista d’ottobre, il più grande evento rivoluzionario della nostra epoca, e che ha dato luogo poi a una serie di eventi e di lotte per l’emancipazione nonché a una serie di conquiste.
Oggi siamo giunti a un punto in cui quella fase si chiude, e per ottenere che anche il socialismo che si è realizzato nei paesi dell’est possa conoscere una nuova era di rinnovamento e di sviluppo democratico, sono necessarie due cose fondamentali: prima di tutto è necessario che prosegua il processo della distensione, perché è chiaro che l’inasprimento della tensione internazionale, la corsa agli armamenti portano all’irrigidimento dei vari regimi, compresi quei regimi; inoltre, è necessario che avanzi un nuovo socialismo nell’ovest dell’Europa, nell’Europa occidentale, il quale sia inscindibilmente legato e fondato sui valori e sui principi di libertà e di democrazia. Si tratta, in sostanza, della politica, della strategia, dell’ispirazione fondamentale del nostro partito, che ricevono da quei fatti una nuova conferma.
Turone: Non le sembra in questa risposta di avvertire l’eco quasi storica di una felice eresia, a mio giudizio? Lei dice che la capacità di propulsione e di rinnovamento delle società dell’est europeo si è andata esaurendo; si chiude un ciclo. Ora, io vorrei sapere perché si chiude questo ciclo. Solo perché ci sono stati errori o anche perché forse c’è qualcosa che non funzionava nell’ideologia? Mi sembra di ricordare che nel documento già citato ci fosse una frase, quella sulla necessaria indissolubilità fra democrazia e socialismo, richiamata adesso da lei, che, sotto il profilo dell’ortodossia leninista, è veramente, felicemente eretica. Possiamo dedurne che il PCI, il quale è all’avanguardia nella coraggiosa opera di revisione in corso in campo comunista, ha finalmente messo in soffitta accanto a zio Stalin anche babbo Lenin?
Noi pensiamo che gli insegnamenti fondamentali che ci ha trasmesso prima di tutto Marx e alcune delle lezioni di Lenin conservino una loro validità, e che vi sia poi, d’altra parte, tutto un patrimonio e tutta una parte di questo insegnamento che sono ormai caduti, che debbono essere abbandonati con gli sviluppi nuovi che abbiamo dato alla nostra elaborazione, che si concentra su un tema che non era il tema centrale dell’opera di Lenin.
Il tema su cui noi ci concentriamo è quello della via al socialismo e dei modi e delle forme della costruzione socialista in società economicamente sviluppate e con tradizioni democratiche quali sono le società dell’occidente europeo. È chiaro che l’esplorazione di vie verso il socialismo, in questa parte dell’Europa e del mondo, richiede soluzioni del tutto originali, rispetto a quelle che si sono attuate nell’Unione Sovietica e che poi si sono via via attuate negli altri paesi dell’est, sia europeo sia asiatico.
Da questo punto di vista, noi consideriamo l’esperienza storica del movimento socialista, nel suo complesso, nelle sue due fasi fondamentali: quella socialdemocratica e quella dei paesi dove il socialismo è stato avviato sotto la direzione di partiti comunisti nell’est europeo. Ognuna di queste esperienze ha dato i suoi frutti all’avanzata del movimento operaio, ma entrambe vanno considerate criticamente con nuove formule, con nuove soluzioni, con quella, cioè, che noi chiamiamo terza via, la terza via appunto rispetto alle vie tradizionali della socialdemocrazia e rispetto ai modelli dell’est europeo. Si tratta di una ricerca nella quale vediamo impegnati non solo alcuni partiti comunisti, ma anche alcune delle socialdemocrazie, o almeno, alcuni settori della socialdemocrazia, dove questo stesso tema viene discusso e approfondito.
Nichols: Vorrei parlare della crisi polacca, però allargando un pochettino le cose per parlare della crisi più generale che abbiamo in Europa. Il papa sta facendo, come sappiamo, molti passi e molti interventi sempre interessanti in questo campo. Lo ha fatto per molto tempo, lo sta facendo adesso. Nel campo della pace -diciamo- e nel campo dell’unità dell’Europa orientale e occidentale. Dànno fastidio questi passi ai comunisti, o sono ben visti da voi?
Tutt’altro. Io penso che le parole che soprattutto in questi ultimi tempi il papa ha pronunciato in modo chiaro per condannare la corsa agli armamenti e, in particolare, la corsa verso nuove armi atomiche, siano delle parole giuste, che dànno ascolto ed espressione alla volontà di milioni e milioni di credenti che hanno manifestato insieme a noi, o in forme autonome, nel corso di questi ultimi mesi, in Italia e in altri paesi europei.
Valuto soprattutto in modo positivo la più recente iniziativa presa dal papa, che non è più soltanto un appello alla pace. Il papa, come è noto, ha inviato suoi rappresentanti, scelti tra i membri della Pontificia Accademia delle Scienze, per illustrare ai rappresentanti delle massime potenze -Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia e Inghilterra- uno studio compiuto dalla stessa Pontificia Accademia delle Scienze sulle conseguenze di un conflitto atomico, affinché tutti ricavino, da questo studio e dai terribili disastri addirittura di proprozioni catastrofiche per tutta l’umanità che ne deriverebbero, le dovute conseguenze.
Non soltanto occorre subito arrestare ogni passo nuovo verso la corsa agli armamenti, ma occorre lavorare per la messa al bando delle armi atomiche. Questa è anche la nostra posizione e la posizione di numerosi Stati. È la stessa posizione che si è espressa potentemente nei movimenti della pace che si sono avuti in questo ultimo periodo quasi in contemporaneità, ed è un fatto nuovo di estrema importanza, in numerose capitali europee.
Noi pensiamo che si tratti di un movimento che coinvolge un insieme di forze: Stati, governi, movimenti popolari, Chiesa cattolica e altre chiese, e che premerà in questo senso. Ci sarà effettivamente la prospettiva di porre un termine a questa corsa che non posso giudicare altro che una follia.
Nichols: E sull’Europa orientale?
Il papa ha espresso un concetto che, dal punto di vista generale, è valido: l’Europa ha una sua unità, una sua civiltà comune. I popoli europei, indipendentemente dai loro regimi sociali e politici, debbono avvicinarsi, debbono comunicare maggiormente fra loro, debbono comprendersi. Anche questo è un concetto che non ci è estraneo, anche se noi lo esprimiamo e lo manifestiamo in forme e con iniziative diverse.